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capitolo sesto. 297

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:324|3|0]]spazio ristretto d’uno specchio ottico, tutta la varia movenza delle passioni più mature. Io e la Pisana fummo lasciati crescere come Dio voleva, e come si costumava a que’ tempi, se pur non si ricorreva alla scappatoia del collegio. Da una cotale educazione circondata di esempii tristissimi, si formava quel gregge impecorito di uomini, che senza fede, senza forza, senza illusioni, giungeva semivivo alle soglie della vita; e di colà fino alla morte si trascinava nel fango dei piaceri e dell’obblio. I vermi che li aspettavano nel sepolcro potevano servir loro da compagni anche nel mondo.

Io per mia parte, o per fortuna di temperamento o per merito delle avversità che mi afforzarono l’animo fin dai primi anni, potei rimaner diritto e non insudiciarmi tanto in quel pantano, da esservi invischiato sempre. Ma la Pisana, tanto meglio di me fornita di belle doti e di ottime inclinazioni, andava sprovvista per disgrazia di tutti i ripari che potevano salvarla. Perfino il suo ingegno tanto vivace, pieghevole, svegliato, s’offuscò e s’insterilì in quella smania di piacere che la invase tutta, in quell’incendio dei sensi, nel quale fu lasciata ardere e consumarsi la parte più eletta dell’anima sua. Il coraggio, la pietà, la generosità, l’immaginazione, sanissimi frutti della sua indole, tralignarono in altrettanti strumenti di quelle brame sfrenate; o se risplendevano talora nei momenti di tregua; erano lampi passeggieri, moti bizzarri e subitanei d’istinto, non atti conscii e meritorii di vera virtù. Un guasto sì lagrimevole cominciò nella prima infanzia; nel tempo di cui narro ora l’era già ito tanto innanzi, che sarebbe stato possibile forse l’arrestarlo, non distruggerne gli effetti; quando poscia fui in grado di toccarlo con mano, e di riconoscere in esso la causa per cui la Pisana era venuta sempre peggiorando cogli anni ne’ suoi difetti infantili, allora non v’era più

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