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capitolo settimo. | 319 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:346|3|0]]plimento senza raccoglierlo, e poco accorta per tagliar di botto tutte queste frasche inutili del discorso, andò via colla lingua dove la menava il reverendo padre, sempre allontanandosi dalla mèta che s’era prefissa nel cominciare. Ma il buon padre non era un allocco; prima d’ingarbugliarsi in certi fastidii, volea capire qual pro’ ne avrebbe cavato, e chi era quella gente con cui doveva accomunarsi. Per quel giorno non giudicò opportuno toccar l’argomento, e barcamenò così bene che quando si alzarono dal gioco per andarsene, la contessa narrava, credo, le sue delizie giovanili, e i bei tempi di Venezia, e Dio sa quali altri vecchiumi. Accorgendosi che era venuto il momento di partire, si morsicò un poco le unghie; ma quell’ora le era scappata via così premurosa, il buon padre l’aveva trattenuta con sì interessanti discorsi, che proprio il discorso principale le era rimasto a mezza gola. Quanto al sospettare che l’ottimo padre l’avesse condotta, come si dice, in cerca di viole, la contessa ne era lontana le cento miglia. Piuttosto si stizzì colla propria loquacia, e fece proponimento di essere più sobria un’altra volta, e di scordare il passato per curare il presente.
Ma la seconda volta fu come la prima; e la terza come la seconda, e non era a dirsi che il padre la schivasse, o che dimostrasse di conversar con lei a malincuore. No, che anzi la cercava, la visitava sovente, e non era mai il primo ad accomiatarsi, se il pranzo imbandito o l’ora tarda non lo costringevano a ritirarsi. Soltanto o l’occasione non si presentava mai di intavolare quel discorso, o il caso faceva che la contessa se ne dimenticasse, quando avrebbe potuto accoccarlo meglio a proposito.
Bensì il padre Pendola non rimaneva ozioso nel frattempo; studiava il paese, la gente, le magistrature, il clero; si addentrava nelle grazie di quel signore, o di quella dama; si piegava ai varii gusti delle persone per es-