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324 | le confessioni d’un ottuagenario. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:351|3|0]]— Oh per carità, signora contessa, non mi esponga, non mi comprometta troppo. È proprio per me un sagrifizio che...
— Oh bella! vorrebbe dunque per egoismo lasciar senza sposa quel caro figliuolo! Che precettore cattivo! A domani, a domani, padre, e venga per tempo che discorreremo mentre bolliranno i risi.
— Servo umilissimo della signora contessa; non mancherò certamente, e Dio meni a buon fine le nostre intenzioni. —
Il buon padre infatti, uscito che fu di casa Frumier con Raimondo, e sprofondato nei comodi sedili d’un bombè, cominciò subito a lodarlo della vita ch’egli menava e del buon uso fatto de’ suoi consigli. Ma i proponimenti dell’uomo sono fallaci, le sue passioni prepotenti, e non mai abbastanza commendevole la cura di frenarle, di regolarle con vincoli sacri e legittimi. Egli toccava il ventunesimo anno; il momento non poteva esser migliore, ed egli se gli profferiva l’ottimo padre a soccorrerlo nella scelta, colla sua lunga ed oculata esperienza.
— Oh padre; dice da senno? — sclamò Raimondo. — Lei mi esorta a maritarmi?... Ma un anno fa non m’inculcava sempre la massima, che bisognava esser maturi di anni e di senno per decidersi a mettere su una famiglia? e che l’aiuto d’un precettore di mente e di cuore comprava benissimo il soccorso, spesso lieve e manchevole, d’una donnicciuola?
— Sì, figliuolo mio, — rispose candidamente il precettore. — Questi consigli io vi dava nell’ultimo anno che fui vostro maestro nel collegio; e credeva fossero ottimi; ma allora non vi aveva ancora osservato nella libertà del mondo. Ora che vi conosco meglio nella pratica della vita, non mi vergogno dal ricredermi e dal confessare che mi era ingannato. Lo vedete bene, parlo a mio danno. Quando