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398 | le confessioni d’un ottuagenario. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:425|3|0]]voi; egli vi terrà per figliuolo, e avrete forse occasione di far più bene voi nel mondo, che io non possa sperare di farne in mezzo al clero di una modesta diocesi. Siamo intesi, Carlino; non vi domando altro che di credermi e di provare. Soprattutto non voglio più vedervi imbecillire in sogni da ragazzo. Disprezzate quello che va disprezzato: rompete la catena delle abitudini: pensate che l’uomo è fatto per gli uomini. Siate generoso giacchè siete forte. —
Che cosa volete? bisogna pur che lo dica. L’adulazione fece quello che l’eloquenza non avea fatto, o almeno compì l’opera incominciata da essa. Mi vennero le lagrime agli occhi, presi le mani del padre Pendola, le copersi di baci, le inondai di pianto, promisi di essere uomo, di sacrificarmi pel bene degli altri uomini, di ubbidire a lui, di ubbidire all’avvocato Ormenta, di ubbidire a tutti fuorchè a quelle mie passioni che mi avevano infin allora così scioccamente tiranneggiato. Io era fuori di me, mi pareva di essere diventato un apostolo; di chi e perchè non sapeva; ma infatti la testa mi andava per le nuvole, e nulla al mondo io disprezzava tanto, come i miei sentimenti e la mia vita degli anni trascorsi. Il padre mi confermava in questi proponimenti di conversione confortandomi intanto a ripigliare il filo delle mie devozioni infantili, a credere, a pregare. La luce si sarebbe fatta poi, e l’avvocato Ormenta doveva essere il candelliere. Scendemmo insieme in giardino e sulla terrazza, dove le belle fronde già ingiallite delle viti ombreggiavano il riposo vespertino della compagnia. Il chiacchierìo languiva nella calma solenne del tramonto; le acque del Lemene romoreggiavano al basso, verdastre e vorticose; un suono di campane lontano e melanconico veniva per l’aria come l’ultima parola del giorno che muore, e il cielo s’infiammava ad occidente cogli splendidi colori dell’autunno. Al primo momento mi pareva di