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capitolo ottavo. | 405 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:432|3|0]]me, vanno prese sul serio; altrimenti si lascino piuttosto da un canto. Può essere sciagura il non pensarvi, ma è sacrilegio il farsene beffe.
Del resto, secondo le ingiunzioni del padre Pendola e dell’avvocato Ormenta, io mi feci forza ad uscire dal solito riserbo; diedi una piccola parte del mio tempo allo studio; e cogli svagamenti, e coll’intenzione a cose più grandi ed eccelse, addormentai nell’animo mio il dolore che vi covava acerbissimo per la dimenticanza della Pisana. Non mi fu difficile scoprire ne’ miei compagni quello che il padre aveva avvertito, una profonda e generale indifferenza in fatto di religione; anzi si andava più in là, cogli scherni, colle parodie, coi motteggi. Questi avrebbero servito a ravvivarmi in cuore la fede, se i miei primi maestri si fossero dati cura di accenderla; ma nessuno aveva pensato a ciò; su questo punto si può dire ch’io fossi nato morto: a risuscitarmi ci voleva un miracolo che non avvenne finora. Peraltro lo sdegno ch’io aveva delle buffonerie, mi fece credere per qualche tempo di avere quelle tali credenze, le quali io soffriva tanto a veder burlare con tanta frivolezza. La generosità giovanile mi ingannò sullo stato delle mie opinioni, e mi fece piegare a difendere piuttosto gli oppressi che gli assalitori. Narrai quello che vedeva all’avvocato; egli mi incorò ad osservar meglio, a notare quali legami avesse quell’anarchia religiosa colla licenza politica e morale, a discernere i caporioni della setta, ad accostarli, a conversar con loro in maniera che m’aprissero tutto l’animo, per sapere da qual banda incominciare a correggere, a riparare. Mi eccitò soprattutto a non dare nell’occhio col mio atteggiamento, a confondermi colla folla, a risponder poco per allora, limitandomi ad interrogare e ad ascoltare.
— Le pecorelle smarrite si richiamano colle carezze, — diceva l’avvocato; — bisogna lusingarle da principio, perchè