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capitolo ottavo. | 407 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:434|3|0]]accarezzarlo per ogni buona occorrenza. I giovani erano due scolari veronesi che s’erano dati come me alla santa causa, e si proponevano di aiutarla con tutto lo zelo. Peccato che non avessero nè il mio ingegno nè le mie belle maniere, ma già Dio sapeva mutar i sassi in pane, e colla buona volontà si arriva a tutto! Io pensai che se in tutte le loro occupazioni ponevano quello stesso zelo che nel mangiare, avrebbero avuto maggior bisogno di freno che di stimoli. Mi ricordai anche allora di averli incontrati qualche volta sotto il portico dell’Università; e mi parve che non fossero nè i più esemplari, nè i più modesti che la frequentavano fra una lezione e l’altra.
— Basta! faranno forse per seguire le pecorelle smarrite, e invogliarle a farsele venir dietro! — io pensai ancora. Ma non ebbi la benchè minima voglia di stringere amicizia con loro come l’avvocato mi consigliava; come anche accettai con un inchino l’invito fattomi dalla marchesa di andar qualche volta alla sua conversazione, ove avrei passato un pajo d’ore lontano dai pericoli, in mezzo a gente sicura e timorata di Dio. L’inchino voleva dire: — Grazie! ne faccio senza della sua conversazione! — Ma l’avvocato si affrettò a rispondere in mio nome, che io era gratissimo alla cortesia della signora marchesa, e che vi avrei corrisposto col farmi vedere in sua casa il più spesso che me lo avrebbero concesso le mie occupazioni. Io fui lì lì per soggiungere qualche sproposito, tanto mi mosse la rabbia quell’uso che si faceva a capriccio altrui della mia volontà. Ma l’avvocato mi rabbonì con un’occhiata, e aggiunse poi sottovoce. — La marchesa è molto amante della gioventù; bisogna saperle grado delle sue ottime intenzioni; e compatirla ne’ suoi difetti pel gran bene che la può fare. —
Insomma, in onta a queste belle chiacchiere, io mi tolsi di casa dell’avvocato ben deliberato di non immischiarmi