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capitolo nono. | 437 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:464|3|0]]sieratamente un’anima come la tua; vorrei purgarla da questa taccia, risparmiarle questo rimorso!... Poichè sappilo, Giulio, e vedi se sono sincero, io so e sento di doverla amar sempre, e sarebbe per me un dolore infinito quello di amare non una vanerella, non una spensierata, non una sirena, ma una furia e un’assassina!...
— Amala dunque, amala pure! — rispose egli con voce soffocata dai singhiozzi. — Non vedi che sono un’ombra? i tuoi scrupoli vengono tardi; ella mi ha già ucciso; e le sua labbra sono vermiglie dal sangue che mi ha succhiato. Talvolta m’illudo ancora; è superbia, è speranza di vendetta! Ma poi mi torna il coraggio della verità; e godo quasi di scongiurar fronte a fronte la furia che mi divora. Va’, io mi vendico fin d’ora della felicità che attende te pure, e che s’aspetta a tutti quelli che aspetteranno pazientemente! Va’, se vuoi amare una cosa abbietta, immonda, spregevole, senz’anima, senza cuore e senza ingegno, cerca la bambola istupidita dalla ubriachezza dei sensi e accecata dall’orgoglio! nata donna nella crudeltà, nella sciocchezza, nella lascivia, e bambola eterna in tutto il resto, anche nella pietà che è la scusa delle donne, e che a lei fu negata per un mostruoso prodigio della natura!... I tuoi diritti sono innegabili; nasceste insieme nella corruzione, potete amarvi senza vergogna alla vostra maniera, come si amano i rospi nel pantano, e i vermi nel cadavere!... —
La sua voce si era rianimata; egli parlava e camminava come un demente; sentiva scricchiolare i suoi denti come volessero arrotare la punta a quelle parole d’imprecazione e di sprezzo. Ma io era armato nel cuore contro a tali ferite, e lasciai sfogarsi quel suo impeto di furore e di sdegno, finchè riacquistò almeno la calma della stanchezza. Allora tentai un ultimo colpo, fidando nella rettitudine delle mie intenzioni che Dio sa se potevano essere più generose.