Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
capitolo nono. | 441 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:468|3|0]]riverii poscia il conte e monsignore, questo sempre più morbido e paffuto, quello incartocciato come una vecchia cartapecora abbrustolita sul braciere. Ma mi tardava l’ora di sbrigarmi per parlare alla Pisana, e finalmente fui libero, e la trovai che la scendeva dalla camera della nonna per andare a pigliar fresco nell’orto. La Faustina e la signora Veronica che le stavano alle coste, scantonarono in cucina ghignando fra loro per lasciarla sola con me. Io mi sentii rivoltare lo stomaco, e seguii la fanciulla con un’occhiata lunga e pietosa.
— Finalmente ti si vede! — mi diss’ella la prima.
— Come finalmente? — risposi io — ci siam veduti e salutati, mi pare, anche iersera.
— Iersera sì! ma non eravamo soli, e la gente, a dirti il vero, comincia a darmi soggezione.
— Hai ragione, iersera non eravamo soli; c’era molta gente; fra gli altri Raimondo Venchieredo e Giulio Del Ponte. —
Io introdussi questi due nomi per giungere al discorso che voleva intavolare con lei, ma ella ci odorò all’incontro un grano di gelosia, e credo che me ne seppe buon grado.
— Il signor Giulio Del Ponte, — soggiunse ella — e il signor Raimondo di Venchieredo non mi fanno adesso nè caldo nè freddo: peraltro sono anch’essi gente come gli altri, e non mi ci trovo più di fare spettacolo pubblicamente de’ miei sentimenti.
— Questo sarebbe un gran bene, Pisana; ma col fatto non mantieni la promessa. Ieri, per esempio, mi pare che i tuoi sentimenti pel signor Raimondo fossero abbastanza chiaramente espressi, e che Giulio li comprendesse a meraviglia.
— Oh non mi secchi più il signor Giulio ho anche troppo fatto e sofferto per lui!