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capitolo nono. 453

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:480|3|0]]de’ suoi sacrifizii. Questi non ne diventavano perciò che più meritorii.

Quando la nuova del noviziato della Clara fu sparsa nei dintorni, capitò in castello il Partistagno che non vi si era più fatto vedere dopo l’esito tragico-comico della domanda solenne. Egli urlò, strepitò e sragionò molto; spaventò il conte e monsignore, e partì dichiarando che andava a Venezia a chieder giustizia, e a liberare una nobile donzella dall’inconcepibile tirannia della sua famiglia. Il tempo trascorso lo avea persuaso sempre più del valore irresistibile de’ proprii meriti, e contro tutte le ragioni che aveva per ritenere il contrario si ostinava a credere che la Clara fosse innamorata di lui, e che i suoi parenti non gliela volessero concedere per qualche causa misteriosa ch’egli si proponeva di svelare in seguito. Infatti si udì poco dopo ch’egli avea levato il campo da Zugugnana per trasportarlo a Venezia; e da Fratta si affrettarono a dar di ciò contezza a Venezia; ma non essendo venuti di colà ulteriori ragguagli, si finì coll’acquietarsi nella fiducia che il grande sussurro del Partistagno dovesse svamparsi in chiacchiere.

Frattanto quello ch’io già prevedeva da un pezzo avvenne pur troppo. La salute del signor conte andava scadendo di giorno in giorno: alla fine ammalò gravemente, e prima che si potesse prevenir la contessa del pericolo, egli spirò senza accorgersene fra le braccia del cappellano, di monsignor Orlando e della Pisana. Il dottor Sperandio gli avea cavato ottanta libbre di sangue, e recitò poi un numero straordinario di testi latini per provare che quella morte era avvenuta per legge di natura. Ma il defunto, se avesse potuto buttar un’occhiata fuori della cassa, sarebbe rimasto quasi contento di esser morto tanta fu la pompa del funerale. Monsignor Orlando pianse con moderazione, e cantò egli stesso l’uffizio d’esequie con voce un po’ più

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