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capitolo decimo. 477

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:504|3|0]]— Fu trovata ottima pei secoli andati — soggiunsi io. — Quanto al presente siamo di diverso parere. Il popolo la trova pessima, e giovandosi del suo diritto di sovranità, la libera per sempre dall’incomodo di servirla.

— Signor... signor Carlino, mi pare; — riprese il vice-capitano — le faccio osservare che questa sovranità nessuno l’ha ancora data al popolo di Portogruaro, e che questo popolo nulla ha fatto per conquistarla. Io sono ancora l’officiale della serenissima signoria, e non posso certo permettere...

— Eh via! — lo interruppi io — cosa non hanno permesso gli officiali della serenissima a Verona, a Brescia, a Padova, e dappertutto dove hanno voluto entrare i Francesi? 

— Fuoco di paglia, signor mio! — sclamò imprudentemente il vice-capitano. — Si finge alle volte di concedere per riprendere meglio più tardi. So da buona fonte che il nobile Ottolin tiene pronti trentamila armati nelle valli Bergamasche, e mi sapranno dire se il ritorno dei signori Francesi somiglierà all’andata. 

— Insomma, signor mio, — ripigliai — qui non si tratta di sapere che cosa avverrà domani: si tratta di esaudire o no le inchieste d’un popolo libero. Si tratta di rendergli quello che gli fu estorto con quel tirannico dazio delle macine, più di aprire a suo profitto quei granaj dell’erario che ormai sono diventati inutili, perchè gli Schiavoni possono tornare a casa quando loro aggrada. 

Un mormorio di scontento corse per le bocche di tutti, ma il capitano che era delicato d’orecchio, e udiva ingrossare di fuori un nuovo tumulto, fu più moderato degli altri.

— Io sono il vice-capitano delle milizie e delle carceri, — mi rispose egli. — Questi (e m’additava un omaccio grosso e bernoccoluto) questi è il cassiere dei Dazii; quest’altro (un figuro lungo e magro come la fame) è il

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