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capitolo primo. | 39 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario I.djvu{{padleft:66|3|0]]cono i dilettanti. Camminava molto adagio, parlava più adagio ancora, non trascurando mai di dividere ogni sua parlata in tre punti: e questa abitudine gli si era ficcata tanto ben addentro nelle ossa, che mangiando, tossendo e sospirando pareva sempre che mangiasse, tossisse e sospirasse in tre punti. Tutti i suoi movimenti apparivano così ponderati, che se gli accadde mai di commettere qualche peccato, ad onta della sua vita generalmente tranquilla ed evangelica, dubito che il Signore siasi indotto a perdonarglielo. Perfino i suoi sguardi non si movevano senza qualche gran motivo; e pareva che stentatamente s’inducessero a traforare due siepaie di sopraccigli che proteggevano i loro agguati. Era esso l’ideale della premeditazione, sceso ad incarnarsi nel grembo d’una montagnola di Clausedo; tonsurato dal vescovo di Porto, e vestito del più lungo giubbone di peluzzo che abbia mai combattuto coi polpacci d’un prete. Egli tremolava un pochino nelle mani, difetto che nuoceva alquanto alla sua qualità di calligrafo, ma che non lo impediva dall’appoggiarsi saldamente alla sua canna d’India col pomo di vero corno di bue. Circa le sue facoltà morali, per esser nato nel settecento, lo si potea vantare per un modello d’indipendenza ecclesiastica; giacchè le riverenze profondissime che faceva al Conte non lo impedivano dal condursi a proprio talento nella cura d’anime; e forse anco esse equivalevano a questo modo di dire: — Illustrissimo signor conte, io la venero e la rispetto; ma del resto a casa mia il padrone sono io.
Il cappellano di Fratta invece era un salterello allibito e pusillanime, che avrebbe dato la benedizione col mestolo di cucina, nulla nulla che al conte fosse saltato questa grillo. Non per poca religione, no; ma il pover’uomo si smarriva tanto al cospetto della signoria, che non sapeva proprio più quello che si facesse. Per questo quando gli