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capitolo decimoterzo. | 121 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le confessioni di un ottuagenario II.djvu{{padleft:129|3|0]]dovunque in mezzo agli sconforti ai timori alle angoscie dell’animo.
Così tornato alquanto in me da quell’utile esercizio interiore, desinai d’un pezzo di pane trovato sopra un armadio; e uscii a notte fatta per cercare di Agostino Frumier se egli era ancora a Venezia, e concertarmi con lui sulla nostra partenza. La verità si era che una cura più profonda e vergognosa di parlare in nome proprio, metteva innanzi cotale pretesto di dilazione: tanto è vero che avviato a casa Frumier mi sviai senza avvedermene fino al Campo di Santa Maria Zobenigo dove sorgeva il palazzo Navagero. E là giunto me ne pentii, ma non potei fare che non mi fermassi a spiare tutte le finestre, e che non scendessi anche sul traghetto per guardare il palazzo dalla parte del Canal Grande. Le impannate erano chiuse dappertutto, e non potei neppure indovinare se vi fosse lume o buio negli appartamenti. Mogio, mogio, colle orecchie basse mi volsi di malavoglia a casa Frumier, ove mi fu detto che Sua Eccellenza Agostino era in campagna. La settimana prima un servo non si sarebbe arrischiato di pronunciare a voce alta quel titolo; ma la nobiltà tornava a far capolino: io non me ne incaricai gran fatto; solo mi dispiacque quel subitaneo girellismo, e in seguito ebbi poi tempo di avvezzarmi anche a questo.
— In campagna! — io sclamai con una buona dose d’incredulità.
— Sì, in campagna dalla banda di Treviso — rispose il servo; — e lasciò detto che tornerà la settimana ventura.
— E il nobiluomo Alfonso? — richiesi io.
— Egli è a letto da due ore. —
— E il signor Senatore.... —
— Dorme; dormono tutti!... —
— Buona notte! — io conclusi. — E colla stessa pa-