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Capo XXX.

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Queste carte sarebbero certamente più dilettevoli se la Zanze fosse stata innamorata di me, o s’io almeno avessi farneticato per essa. Eppure quella qualità di semplice benevolenza che ci univa m’era più cara dell’amore. E se in qualche momento io temea che potesse, nello stolto mio cuore, mutar natura, allor seriamente me n’attristava.

Una volta, nel dubbio che ciò stesse per accadere, desolato di trovarla (non sapea per quale incanto) cento volte più bella che non m’era sembrata da principio, sorpreso della melanconia ch’io talvolta provava lontano da lei, e della gioia che recavami la sua presenza, presi a fare per due giorni il burbero, immaginando ch’ella si divezzerebbe alquanto dalla famigliarità contratta meco. Il ripiego valea poco: quella ragazza era sì paziente, sì compassionevole! Appoggiava il suo gomito sulla finestra, e stava a guardarmi in silenzio. Poi mi diceva:

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