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Capo XXXI.

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Io non posso parlare del male che affligge gli altri uomini; ma quanto a quello che toccò in sorte a me dacchè vivo, bisogna ch’io confessi che, esaminatolo bene, lo trovai sempre ordinato a qualche mio giovamento. Sì, perfino quell’orribile calore che m’opprimeva, e quegli eserciti di zanzare che mi facean guerra sì feroce! Mille volte vi ho riflettuto. Senza uno stato di perenne tormento com’era quello, avrei io avuta la costante vigilanza necessaria, per serbarmi invulnerabile ai dardi d’un amore che mi minacciava, e che difficilmente sarebbe stato un amore abbastanza rispettoso, con un’indole sì allegra ed accarezzante qual’era quella della fanciulla? Se io talora tremava di me in tale stato, come avrei io potuto governare le vanità della mia fantasia in un aere alquanto piacevole, alquanto consentaneo alla letizia?

Stante l’imprudenza de’ genitori della Zanze, che cotanto si fidavano di me; stante l’impru-

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