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Anche la conoscenza della Zanze m’era stata benefica: m’avea raddolcito l’indole. Il suo soave applauso erami stato impulso a non ismentire per qualche mese il dovere ch’io sentiva incombere ad ogni uomo d’essere superiore alla fortuna, e quindi paziente. E qualche mese di costanza mi piegò alla rassegnazione.
La Zanze mi vide due sole volte andare in collera. Una fu quella che già notai, pel cattivo caffè: l’altra fu nel caso seguente:
Ogni due o tre settimane, m’era portata dal custode una lettera della mia famiglia; lettera passata prima per le mani della Commissione, e rigorosamente mutilata con cassature di nerissimo inchiostro. Un giorno accadde che, invece di cassarmi solo alcune frasi, tirarono l’orribile riga su tutta quanta la lettera, eccettuate le parole: «Carissimo Silvio» che stavano a principio, e il saluto ch’era in fine: «T’abbracciamo tutti di cuore».
Fui così arrabbiato di ciò, che alla presenza della Zanze proruppi in urla, e maledissi non so chi. La povera fanciulla mi compatì, ma nello stesso tempo mi sgridò d’incoerenza a’ miei principii. Vidi ch’ella aveva ragione, e non maledissi più alcuno.