Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
( 139 ) |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le mie prigioni.djvu{{padleft:151|3|0]]proprio, ma lo feci. Chi s’umilia senza bassi fini, non si degrada, qualunque ingiusto spregio gliene torni.
Ebbi per risposta una lettera meno violenta, ma non meno insultante. L’implacato mi diceva ch’egli ammirava la mia evangelica moderazione.
— Or dunque ripigliamo pure, proseguiva egli, la nostra corrispondenza; ma parliamo chiaro. Noi non ci amiamo. Ci scriveremo per trastullare ciascuno se stesso, mettendo sulla carta liberamente tutto ciò che ci viene in capo: voi le vostre immaginazioni serafiche ed io le mie bestemmie; voi le vostre estasi sulla dignità dell’uomo e della donna, io l’ingenuo racconto delle mie profanazioni; sperando io di convertir voi, e voi di convertir me. Rispondetemi se vi piaccia il patto. —
Risposi: — Il vostro non è un patto, ma uno scherno. Abbondai in buon volere con voi. La coscienza non mi obbliga più ad altro, che ad augurarvi tutte le felicità per questa e per l’altra vita. —
Così finì la mia clandestina relazione con quell’uomo — chi sa? - forse più inasprito dalla sventura e delirante per disperazione, che malvagio.