< Pagina:Le mie prigioni.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.

( 140 )

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le mie prigioni.djvu{{padleft:152|3|0]]

Capo XLII.

_______


Benedissi un’altra volta davvero la solitudine, ed i miei giorni passarono di nuovo per alcun tempo senza vicende.

Finì la state; nell’ultima metà di settembre, il caldo scemava. Ottobre venne; io mi rallegrava allora d’avere una stanza che nel verno doveva esser buona. Ecco una mattina il custode che mi dice avere ordine di mutarmi di carcere.

— E dove si va?

— A pochi passi, in una camera più fresca.

— E perchè non pensarci quand’io moriva dal caldo, e l’aria era tutta zanzare, ed il letto era tutto cimici?

— Il comando non è venuto prima.

— Pazienza, andiamo. —

Bench’io avessi assai patito in quel carcere, mi dolse di lasciarlo; non soltanto perchè nella fredda stagione doveva essere ottimo, ma per tanti perchè. Io v’avea quelle formiche, ch’io amava e nutriva con sollecitudine, se non fosse

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.