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Alle nuove mentovate conoscenze di concaptivi s’aggiunse un’altra che mi fu pure dolcissima.

Dalla finestra grande io vedeva, oltre lo sporgimento di carceri che mi stava in faccia, una estensione di tetti, ornata di cammini, d’altane, di campanili, di cupole, la quale andava a perdersi colla prospettiva del mare e del cielo. Nella casa più vicina a me, ch’era un’ala del patriarcato, abitava una buona famiglia, che acquistò diritti alla mia riconoscenza mostrandomi coi suoi saluti la pietà ch’io le ispirava. Un saluto, una parola d’amore agl’infelici, è una gran carità!

Cominciò colà, da una finestra, ad alzare le sue manine verso me un ragazzetto di nove o dieci anni, e l’intesi gridare:

— Mamma, mamma, han posto qualcheduno lassù ne’ Piombi. O povero prigioniero, chi sei?

— Io sono Silvio Pellico, risposi. —

Un altro ragazzo più grandicello corse anch’egli alla finestra, e gridò:

— Tu sei Silvio Pellico?

— Sì, e voi cari fanciulli?

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