Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
( 155 ) |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le mie prigioni.djvu{{padleft:167|3|0]]impossibile di doverli mai più patire. Ma al tramonto del sole io cominciava a rabbrividire, e ciascuna notte riconduceva le brutte stravaganze della precedente.
Quanto maggiore era la mia debolezza nelle tenebre, tanto maggiori erano i miei sforzi durante il giorno, per mostrarmi allegro ne’ colloquii co’ compagni, co’ due ragazzi del patriarcato e co’ miei carcerieri. Nessuno, udendomi scherzare com’io faceva, si sarebbe immaginata la misera infermità ch’io soffriva. Sperava con quegli sforzi di rinvigorirmi; ed a nulla giovavano. Quelle apparenze notturne, che il giorno io chiamava sciocchezze, la sera tornavano ad essere per me realtà spaventevoli.
Se avessi ardito, avrei supplicato la Commissione di mutarmi di stanza, ma non seppi mai indurmivi, temendo di far ridere.
Essendo vani tutti i raziocinii, tutti i proponimenti, tutti gli studii, tutte le preghiere, l’orribile idea d’essere totalmente e per sempre abbandonato da Dio s’impadronì di me.
Tutti que’ maligni sofismi contro la Provvidenza, che, in istato di ragione, poche settimane prima, m’apparivano sì stolti, or vennero