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L’inquisitore mi lesse la sentenza: — Condannato a morte. — Poi lesse il rescritto imperiale: — la pena è commutata in quindici anni di carcere duro, da scontarsi nella fortezza di Spielberg. —

Risposi: — Sia fatta là volontà di Dio! —

E mia intenzione era veramente di ricevere da cristiano questo orrendo colpo, e non mostrare nè nutrire risentimento contro chicchessia.

Il presidente lodò la mia tranquillità, e mi consigliò a serbarla sempre, dicendomi che da questa tranquillità potea dipendere l’essere forse, fra due o tre anni, creduto meritevole di maggior grazia. (Invece di due o tre, furono poi molti di più).

Anche gli altri giudici mi volsero parole di gentilezza e di speranza. Ma uno di loro che nel processo m’era ognora sembrato molto ostile, mi disse alcun che di cortese che pur pareami pungente; e quella cortesia giudicai che fosse smentita dagli sguardi, ne’ quali avrei giurato essere un riso di gioia e d’insulto.

Or non giurerei più che fosse così: posso benissimo essermi ingannato. Ma il sangue allora mi si rimescolò, e stentai a non prorompere in

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