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Capo LIII.
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Alle 9 antimeridiane, Maroncelli ed io fummo fatti entrare in gondola, e ci condussero in città. Approdammo al palazzo del doge, e salimmo alle carceri. Ci misero nella stanza ove pochi giorni prima era il signor Caporali; ignoro ove questi fosse stato tradotto. Nove o dieci sbirri sedeano a farci guardia, e noi passeggiando aspettavamo l’istante di esser tratti in piazza. L’aspettazione fu lunga. Comparve soltanto a mezzodì l’inquisitore, ad annunciarci che bisognava andare. Il medico si presentò, suggerendoci di bere un bicchierino d’acqua di menta; accettammo, e fummo grati, non tanto di questa, quanto della profonda compassione che il buon vecchio ci dimostrava. Era il dottor Dosmo. S’avanzò quindi il capo-sbirro, e ci pose le manette. Seguimmo lui, accompagnati dagli altri sbirri.
Scendemmo la magnifica scala de’ giganti, ci ricordammo del doge Marin Faliero, ivi deca-