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Capo LVI.

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Il mattino partivamo d’Udine, ed albeggiava appena: quell’affettuoso Dario era già nella strada, tutto mantellato; ci salutò ancora, e ci seguì lungo tempo. Vedemmo anche una carrozza venirci dietro per due o tre miglia. In essa qualcheduno facea sventolare un fazzoletto. Alfine retrocesse. Chi sarà stato? Lo supponemmo.

Oh Iddio benedica tutte le anime generose, che non s’adontano d’amare gli sventurati! Ah, tanto più le apprezzo, dacchè, negli anni della mia calamità, ne conobbi pur di codarde, che mi rinnegarono, e credettero vantaggiarsi, ripetendo improperii contro di me. Ma quest’ultime furono poche, ed il numero delle prime non fu scarso.

M’ingannava, stimando che quella compassione che trovavamo in Italia, dovesse cessare, laddove fossimo in terra straniera. Ah il buono è sempre compatriota degl’infelici! Quando fummo in paesi illirici e tedeschi avveniva lo stesso che ne’ nostri. Questo gemito era universale: arme Herren! (poveri signori!)

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