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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le mie prigioni.djvu{{padleft:203|3|0]] Talvolta entrando in qualche paese, le nostre carrozze erano obbligate di fermarsi, avanti di decidere dove s’andasse ad alloggiare. Allora la popolazione si serrava intorno a noi, ed udivamo parole di compianto che veramente prorompevano dal cuore. La bontà di quella gente mi commoveva più ancora, di quella de’ miei connazionali. Oh come io era riconoscente a tutti! Oh quanto è soave la pietà de’ nostri simili! Quanto è soave l’amarli!

La consolazione ch’io indi traea, diminuiva persino i miei sdegni contro coloro ch’io nomava miei nemici.

— Chi sa, pensavo io, se vedessi da vicino i loro volti, e s'essi vedessero me, e se potessi leggere nelle anime loro, ed essi nella mia, chi sa ch’io non fossi costretto a confessare non esservi alcuna scelleratezza in loro; ed essi, — non esservene alcuna in me! chi sa che non fossimo costretti a compatirci a vicenda e ad amarci! —

Pur troppo sovente gli uomini s’abborrono, perchè reciprocamente non si conoscono; e se scambiassero insieme qualche parola, uno darebbe fiducialmente il braccio all’altro.

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