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Capo LXVI.

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Ad un’estremità di quel terrapieno, erano le stanze del soprintendente; all’altra estremità alloggiava un caporale con moglie ed un figliuolino. Quand’io vedeva alcuno uscire di quelle abitazioni, io m’alzava e m’avvicinava alla persona, o alle persone, che ivi comparivano, ed era colmato di dimostrazioni di cortesia e di pietà.

La moglie del soprintendente era ammalata da lungo tempo, e deperiva lentamente. Si facea talvolta portare sopra un canapè all’aria aperta. È indicibile quanto si commovesse esprimendomi la compassione che provava per tutti noi. Il suo sguardo era dolcissimo e timido, e quantunque timido, s’attaccava di quando in quando con intensa interrogante fiducia allo sguardo di chi le parlava.

Io le dissi una volta, ridendo: — Sapete, signora, che somigliate alquanto a persona che mi fu cara? —

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