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Due buone vecchie solevano essere con quei fanciulli: una era la madre del soprintendente, l’altra la zia. Vollero sapere tutta la mia storia, ed io loro la raccontai in compendio.
— Quanto siamo infelici, diceano coll’espressione del più vero dolore, di non potervi giovare in nulla! Ma siate certo che pregheremo per voi, e che se un giorno viene la vostra grazia, sarà una festa per tutta la nostra famiglia. —
La prima di esse, ch’era quella ch’io vedea più sovente, possedeva una dolce, straordinaria eloquenza nel dar consolazioni. Io le ascoltava con filiale gratitudine, e mi si fermavano nel cuore.
Dicea cose, ch’io sapea già, e mi colpivano come cose nuove: — Che la sventura non degrada l’uomo, s’ei non è dappoco, ma anzi lo sublima; — che, se potessimo entrare ne’ giudizi di Dio, vedremmo essere, molte volte, più da compiangersi i vincitori che i vinti, gli esultanti che i mesti, i doviziosi che gli spogliati di tutto; — che l’amicizia particolare mostrata dall’uomo-Dio per gli sventurati è un gran fatto; — che dobbiamo gloriarci della croce, dopo che fu portata da omeri divini.