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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le mie prigioni.djvu{{padleft:248|3|0]]chi poi li tenne alzati, giungendo le mani in atto di preghiera. Io giunsi le mie, e pregai al pari di lui in silenzio. Ei capiva ch’io facea voti per esso, com’io capiva ch’ei ne facea per me.
Andando via, mi disse sotto voce: — Quando ella conversa col conte Oroboni, parli sommesso più che può. Farà così due beni: uno di risparmiarmi le grida del signor soprintendente, l’altro di non far forse capire qualche discorso... debbo dirlo?... qualche discorso che, riferito, irritasse sempre più chi può punire. —
L’assicurai che dalle nostre labbra non usciva mai parola, che, riferita a chicchessia, potesse offendere.
Non avevamo infatti d’uopo d’avvertimenti, per esser cauti. Due prigionieri che vengono a comunicazione tra loro, sanno benissimo crearsi un gergo, col quale dir tutto, senza esser capiti da qualsiasi ascoltatore.