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Capo LXXI.
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Le conversazioni di cui parlo, quali con Oroboni, quali con Schiller o altri, occupavano tuttavia poca parte delle mie lunghe ventiquattro ore della giornata, e non rade erano le volte, che niuna conversazione riusciva possibile col primo.
Che faceva io in tanta solitudine?
Ecco tutta quanta la mia vita in que’ giorni. Io m’alzava sempre all’alba, e, salito in capo del tavolaccio, m’aggrappava alle sbarre della finestra, e diceva le orazioni. Oroboni già era alla sua finestra o non tardava di venirvi. Ci salutavamo; e l’uno e l’altro continuava tacitamente i suoi pensieri a Dio. Quanto erano orribili i nostri covili, altrettanto era bello lo spettacolo esterno per noi. Quel cielo, quella campagna, quel lontano moversi di creature nella valle, quelle voci delle villanelle, quelle risa, que’ canti ci esilaravano, ci faceano più caramente sentire la presenza di Colui ch’è sì ma-