Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
( 250 ) |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le mie prigioni.djvu{{padleft:262|3|0]]
— Amico, diss’egli, non è lontano il giorno, che uno di noi due non potrà più venire alla finestra. Ogni volta che ci salutiamo può essere l’ultima. Teniamoci dunque pronti l’uno e l’altro sì a morire, sì a sopravvivere all’amico. —
La sua voce era intenerita; io non potea rispondergli. Stemmo un istante in silenzio, indi ei riprese:
— Te beato, che sai il tedesco! Potrai almeno confessarti! Io ho domandato un prete che sappia l’italiano: mi dissero che non v’è. Ma Dio vede il mio desiderio, e dacchè mi sono confessato a Venezia, in verità mi pare di non aver più nulla che m’aggravi la coscienza.
— Io invece, a Venezia, mi confessai, gli dissi, con animo pieno di rancore, e feci peggio che se avessi ricusato i sacramenti. Ma se ora mi si concede un prete, t’assicuro che mi confesserò di cuore e perdonando a tutti.
— Il cielo ti benedica! sclamò; tu mi dai una grande consolazione. Facciamo, sì, facciamo il possibile entrambi, per essere eternamente uniti nella felicità, come lo fummo in questi giorni di sventura! —
Il giorno appresso l’aspettai alla finestra e non