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Capo LXXVII.

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Dopo la morte d’Oroboni, ammalai di nuovo. Credeva di raggiungere presto l’estinto amico; e ciò bramava. Se non che, mi sarei io separato senza rincrescimento da Maroncelli?

Più volte, mentr’ei, sedendo sul pagliericcio, leggeva o poetava, o forse fingeva al pari di me di distrarsi con tali studi e meditava sulle nostre sventure, io lo guardava con affanno e pensava: — Quanto più trista non sarà la tua vita, quando il soffio della morte m’avrà tocco, quando mi vedrai portar via di questa stanza, quando mirando il cimitero, dirai: — Anche Silvio è là! — E m’inteneriva su quel povero superstite, e faceva voti che gli dessero un altro compagno, capace d’apprezzarlo come lo apprezzava io, — ovvero che il Signore prolungasse i miei martirii, e mi lasciasse il dolce uffizio di temperare quelli di quest’infelice, dividendoli.

Io non noto quante volte le mie malattie sgombrarono e ricomparvero. L’assistenza che

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