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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le mie prigioni.djvu{{padleft:30|3|0]]culto), ma perchè io mi sento così fatto, da non essere capace di recitarne molte senza vagare in distrazioni e porre l’idea del culto in obblio.

L’intento di stare di continuo alla presenza di Dio, invece di essere un faticoso sforzo della mente, ed un soggetto di tremore, era per me soavissima cosa. Non dimenticando che Dio è sempre vicino a noi, ch’egli è in noi, o piuttosto che noi siamo in esso, la solitudine perdeva ogni giorno più il suo orrore per me: «Non sono io in ottima compagnia?» mi andava dicendo. E mi rasserenava, e canterellava, e zufolava con piacere e con tenerezza.

- Ebbene, pensai, non avrebbe potuto venirmi una febbre e portarmi in sepoltura? Tutti i miei cari, che si sarebbero abbandonati al pianto, perdendomi, avrebbero pure acquistato a poco a poco la forza di rassegnarsi alla mia mancanza. Invece d’una tomba, mi divorò una prigione: degg’io credere che Dio non li munisca d’egual forza? ―

Il mio cuore alzava i più fervidi voti per loro, talvolta con qualche lagrima; ma le lagrime stesse erano miste di dolcezza. Io aveva piena fede che Dio sosterrebbe loro e me. Non mi sono ingannato.

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