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Capo VIII.

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Nella mia sventura sono pur fortunato, diceva io che m’abbiano data una prigione a pian terreno, su questo cortile, ove a quattro passi da me viene quel caro fanciullo, con cui converso alla muta sì dolcemente! Mirabile intelligenza umana! Quante cose ci diciamo egli ed io colle infinite espressioni degli sguardi e della fisionomia! Come compone i suoi moti con grazia, quando gli sorrido! Come li corregge quando vede che mi spiacciono! Come capisce che lo amo, quando accarezza o regala alcuno de’ suoi compagni! Nessuno al mondo se lo immagina, eppure io stando alla finestra, posso essere una specie d’educatore per quella povera creaturina. A forza di ripetere il mutuo esercizio de’ segni, perfezioneremo la comunicazione delle nostre idee. Più sentirà d’istruirsi e di ingentilirsi con me, più mi s’affezionerà. Io sarò per lui il genio della ragione e della bontà; egli imparerà a confidarmi i suoi dolori, i suoi piaceri, le sue

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