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Dopo i primi giorni si mansuefecero tutti, e li trovai buoni. La moglie era quella che più manteneva il contegno ed il carattere di carceriere. Era una donna di viso asciutto asciutto, verso i quarant’anni, di parole asciutte asciutte, non dante il minimo segno d’essere capace di qualche benevolenza ad altri che ai suoi figli.

Solea portarmi il caffè, mattina e dopo pranzo, acqua, biancheria, ec. La seguivano ordinariamente sua figlia, fanciulla di quindici anni, non bella ma di pietosi sguardi, e i due figliuoli, uno di tredici, l’altro di dieci. Si ritiravano quindi colla madre, ed i tre giovani sembianti si rivoltavano dolcemente a guardarmi chiudendo la porta. Il custode non veniva da me se non quando aveva da condurmi nella sala ove si adunava la Commissione per esaminarmi. I secondini venivano poco, perchè attendevano alle prigioni di polizia, collocate ad un piano inferiore, ov’erano sempre molti ladri. Uno di que’ secondini era un vecchio, di più di settant’anni, ma atto ancora a quella faticosa vita di correre sempre su e giù per le scale ai diversi carceri. L’altro era un giovinotto di 24 o 25 anni, più voglioso di raccontare i suoi amori che di badare al suo servizio.

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