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SONETTO XXXIV.

M
A poi che ’l dolce riso umile, e piano

  Più non asconde sue bellezze nove;
  Le braccia alla fucina indarno move
  4L’antiquissimo fabbro Siciliano:
Ch’a Giove tolte son l’arme di mano
  Temprate in Mongibello a tutte prove:
  E sua sorella par, che si rinnove
  8Nel bel guardo d’Apollo a mano a mano.
Del lito occidental si move un fiato,
  Che fa securo il navigar senz'arte,
  11E desta i fior tra l’erba in ciascun prato:
Stelle noiose fuggon d’ogni parte,
  Disperse dal bel viso innamorato,
  14Per cui lagrime molte son già sparte.


.

SONETTO XXXV.

I
L figliuol di Latona avea già nove

  Volte guardato dal balcon sovrano,
  Per quella ch’alcun tempo mosse in vano
  4I suoi sospiri, et or gli altrui commove:
Poi, che cercando stanco non seppe, ove
  S’albergasse, da presso, o di lontano;
  Mostrossi a noi qual'uom per doglia insano.
  8Che molto amata cosa non ritrove:
E così tristo standosi in disparte,
  Tornar non vide il viso che laudato
  11Sarà, s’io vivo in più di mille carte:
E pietà lui medesmo avea cangiato,
  Sì, ch’ e begli occhi lagrimavan parte:
  14Però l’aere ritenne il primo stato.


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