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P A R T E. 125

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SONETTO CXIX.

Q
Uesta umil fera, un cor di tigre, o d’orsa;

  Che ’n vista umana, e ’n forma d’angel vene;
  In riso, e ’n pianto, fra paura, e spene
  4Mi rota sì, ch’ogni mio stato inforsa.
Se ’n breve non m’accoglie, o non mi smorsa,
  Ma pur, come suol far, tra due mi tene;
  Per quel ch’io sento al cor gir fra le vene
  8Dolce veneno, Amor, mia vita è corsa.
Non può più la vertù fragile, e stanca
  Tante varietati omai soffrire,
  11Che ’n un punto arde, agghiaccia, arrossa e ’nbianca.
Fuggendo spera i suoi dolor finire;
  Come colei che d’ora in ora manca:
  14Che ben può nulla chi non può morire.


SONETTO CXX.

I
Te, caldi sospiri, al freddo core:

  Rompete il ghiaccio che pietà contende;
  E, se prego mortale al ciel s’intende,
  4Morte, o mercè sia fine al mio dolore.
Ite, dolci pensier, parlando fore,
  Di quello ove ’l bel guardo non s’estende:
  Se pur sua asprezza, o mia stella n’offende,
  8Sarem fuor di speranza, e fuor d’errore.
Dir se può ben per voi, non forse appieno,
  Che ’l nostro stato è inquieto, e fosco;
  11Siccome ’l suo pacifico, e sereno.
Gite securi omai; ch’Amor ven vosco:
  E ria fortuna può ben venir meno;
  14S’ai segni del mio Sol l’aere conosco.

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