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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu{{padleft:208|3|0]]
SONETTO CXIX.
Che ’n vista umana, e ’n forma d’angel vene;
In riso, e ’n pianto, fra paura, e spene
4Mi rota sì, ch’ogni mio stato inforsa.
Se ’n breve non m’accoglie, o non mi smorsa,
Ma pur, come suol far, tra due mi tene;
Per quel ch’io sento al cor gir fra le vene
8Dolce veneno, Amor, mia vita è corsa.
Non può più la vertù fragile, e stanca
Tante varietati omai soffrire,
11Che ’n un punto arde, agghiaccia, arrossa e ’nbianca.
Fuggendo spera i suoi dolor finire;
Come colei che d’ora in ora manca:
14Che ben può nulla chi non può morire.
SONETTO CXX.
Rompete il ghiaccio che pietà contende;
E, se prego mortale al ciel s’intende,
4Morte, o mercè sia fine al mio dolore.
Ite, dolci pensier, parlando fore,
Di quello ove ’l bel guardo non s’estende:
Se pur sua asprezza, o mia stella n’offende,
8Sarem fuor di speranza, e fuor d’errore.
Dir se può ben per voi, non forse appieno,
Che ’l nostro stato è inquieto, e fosco;
11Siccome ’l suo pacifico, e sereno.
Gite securi omai; ch’Amor ven vosco:
E ria fortuna può ben venir meno;
14S’ai segni del mio Sol l’aere conosco.