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P A R T E. 131

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SONETTO CXXXI.

O
R che ’l ciel, e la terra, e ’l vento tace,

  E le fere, e gli augelli il sonno affrena,
  Notte 'l carro stellato in giro mena,
  4E nel suo letto il mar senz’onda giace;
Veggio, penso, ardo, piango; e chi mi sface,
  Sempre m’è inanzi per mia dolce pena;
  Guerra è ’l mio stato, d’ira e di duol piena,
  8E sol di lei pensando ho qualche pace.
Così sol d’una chiara fonte viva
  Move ’l dolce, e l’amaro ond’io mi pasco;
  11Una man sola mi risana e punge.
E perchè ’l mio martìr non giunga a riva,
  Mille volte il dì moro, e mille nasco;
  14Tanto da la salute mia son lunge.


SONETTO CXXXII.

C
Ome ’l candido pie’ per l’erba fresca

  I dolci passi onestamente move;
  Vertù, che ’ntorno i fior' apra, e rinnove,
  4Delle tenere piante sue par ch’esca.
Amor, che solo i cor leggiadri invesca,
  Nè degna di provar sua forza altrove;
  Da’ begli occhi un piacer sì caldo piove;
  8Ch’i’ non curo altro ben, nè bramo altr’esca.
Et con l’andar, e col soave sguardo
  S’accordan le dolcissime parole,
  11E l’atto mansueto, umile, e tardo.
Di tai quattro faville, e non già sole,
  Nasce ’l gran foco, di ch’io vivo, ed ardo:
  14Che son fatto un augel notturno al Sole.

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