< Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

P A R T E. 147

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu{{padleft:230|3|0]]

SONETTO CLXIII.

L
’Aura serena che fra verdi fronde

  Mormorando a ferir nel volto viemme;
  Fammi risovenir quand’Amor diemme
  4Le prime piaghe, sì dolci, e profonde;
E ’l bel viso veder ch’altri m’asconde;
  Che sdegno, o gelosia celato tiemme;
  E le chiome or avvolte in perle, e ’n gemme,
  8Allora sciolte, e sovra or terso bionde:
Le quali ella spargea sì dolcemente,
  E raccogliea con sì leggiadri modi,
  11Che ripensando ancor trema la mente.
Torsele il tempo po' in più saldi nodi;
  E strinse ’l cor d’un laccio sì possente,
  14Che Morte sola fia ch’indi lo snodi.


SONETTO CLXIV.

L
’Aura celeste che ’n quel verde Lauro

  Spira ov’Amor ferì nel fianco Apollo,
  Ed a me pose un dolce giogo al collo,
  4Tal, che mia libertà tardi restauro;
Può quello in me che nel gran vecchio Mauro
  Medusa, quando in selce trasformollo:
  Ne posso dal bel nodo omai dar crollo,
  8Là ’ve'l Sol perde, non pur l’ambra, o l’auro:
Dico le chiome bionde, e ’l crespo laccio
  Che sì soavemente lega, e stringe
  11L’alma, che d’umiltate, e non d’altr’armo.
L’ombra sua sola fa ’l mio core un ghiaccio,
  E di bianca paura il viso tinge:
  14Ma gli occhi hanno virtù di farne un marmo.


    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.