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P A R T E. 159

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SONETTO CLXXVIII.

G
Razie ch’a pochi 'l ciel largo destina:

  Rara vertù, non già d’umana gente:
  Sotto biondi capei canuta mente;
  4E ’n umil donna alta beltà divina:
Leggiadria singulare, e pellegrina;
  E ’l cantar che nell’anima si sente;
  L’andar celeste; e ’l vago spirto ardente,
  8Ch’ogni dur rompe, ed ogni altezza inchina:
E que’ belli occhi, che i cor’ fanno smalti,
  Possenti a rischiarar abisso, e notti,
  11E torre l’alme a’ corpi, e darle altrui;
Col dir pien d’intelletti dolci, e alti:
  Coi sospir soavemente rotti:
  14Da questi Magi trasformato fui.


CANZONE XXXVI.

A
Nzi tre dì creata era alma in parte

Da por sua cura in cose altere, e nove,
E dispregiar di quel ch’a molti è ’n pregio:
Quest’ancor dubbia del fatal suo corso
5Sola pensando, pargoletta, e sciolta,
Intrò di primavera in un bel bosco.
Era un tenero fior nato in quel bosco
Il giorno avanti; e la radice in parte
Ch’appressar nol poteva anima sciolta:
10Che v’eran di lacciuo’ forme sì nove,
E tal piacer precipitava al corso;
Che perder libertate iv'era in pregio.
Caro, dolce, alto, e faticoso pregio,
Che ratto mi volgesti al verde bosco,
15Usato di sviarme a mezzo ’l corso.

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