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SONETTO CLXXXIX.

D
Odici donne onestamente lasse,

  Anzi dodici stelle, e ’n mezzo un Sole
  Vidi in una barchetta allegre, e sole,
  4Qual non so s’altra mai onde solcasse;
Simil non credo che Giason portasse
  Al vello onde’ggi ogni uom vestir si vole;
  Nè ’l Pastor di che ancor Troja si dole;
  8De’ qua’ duo tal romor’ al mondo fasse.
Poi le vidi in un carro trionfale,
  E Laura mia con suoi santi atti schifi
  11Sedersi in parte, e cantar dolcemente:
Non cose umane, o vision mortale.
  Felice Autumedon, felice Tifi,
  14Che conduceste sì leggiadra gente!


SONETTO CXC.

P
Asser mai solitario in alcun tetto

  Non fu, quant’io; nè fera in alcun bosco:
  Ch’i’ non veggio ’l bel viso; e non conosco
  4Altro Sol; nè quest’occhi han’altro obietto.
Lagrimar sempre è ’l mio sommo diletto;
  Il rider doglia; il cibo assenzio, e tosco;
  La notte affanno; e ’l ciel seren m’è fosco;
  8E duro campo di battaglia il letto.
Il Sonno è veramente, qual’uom dice,
  Parente della Morte; e ’l cor sottragge
  11A quel dolce pensier che ’n vita il tene.
Solo al mondo paese almo felice,
  Verdi rive, fiorite ombrose piagge,
  14Voi possedete, ed io piango ’l mio bene.


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