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SONETTO CXCIII.

C
Antai; or piango; e non men di dolcezza

  Del pianger prendo, che del canto presi:
  Ch’alla cagion, non all’effetto intesi
  4Son’i miei sensi vaghi pur d’altezza:
Indi e mansuetudine, e durezza,
  E atti feri, e umili, e cortesi,
  Porto egualmente; nè me gravan pesi;
  8Nè l’arme mie punta di sdegni spezza.
Tengan dunque ver me l’usato stile
  Amor, Madonna, il mondo, e mia fortuna:
  11Ch’i’non penso esser mai se non felice.
Arda, o mora, o languisca; un più gentile
  Stato del mio non è sotto la luna:
  14Sì dolce è del mio amaro la radice.


SONETTO CXCIV.

I
’Piansi; or canto; che ’l celeste lume

  Quel vivo Sole a gli occhi miei non cela,
  Nel qual’onesto Amor chiaro rivela
  4Sua dolce forza, e suo santo costume:
Onde e’ suol trar di lagrime tal fiume
  Per accorciar del mio viver la tela;
  Che non pur ponte, o guado, o remi, o vela,
  8Ma scampar non potiemmi, ale nè piume.
Sì profond’era, e di sì larga vena
  Il pianger mio; e sì lungi la riva,
  11Ch’i’ v’aggiungeva col penser’appena.
Non lauro, o palma, ma tranquilla oliva
  Pietà mi manda; e ’l tempo rasserena;
  14E ’l pianto asciuga; e vuol’ancor ch’i’ viva.


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