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SONETTO CXCV.

I’
Mi vivea di mia sorte contento

  Senza lagrime, e senza invidia alcuna:
  Che s’altro amante ha più destra fortuna,
  4Mille piacer non vaglion' un tormento.
Or que' belli occhi ond’io mai non mi pento
  Delle mie pene, e men non ne voglio una;
  Tal nebbia copre, sì gravosa, e bruna,
  8Che ’l Sol della mia vita ha quasi spento.
O Natura, pietosa, e fera madre,
  Onde tal possa, e sì contrarie voglie
  11Di far cose, e disfar tanto leggiadre?
D’un vivo fonte ogni poder s’accoglie:
  Ma tu, come ’l consenti, o sommo Padre,
  14Che del tuo caro dono altri ne spoglie?


SONETTO CXCVI.

V
Incitore Alessandro l’ira vinse,

  Et fel minor' in parte, che Filippo:
  Che li val se Pirgotile, e Lisippo
  4L’intagliar sol,o e Apelle il depinse?
L’ira Tidèo a tal rabbia sospinse,
  Che morend'ei, si rose Menalippo:
  L’ira cieco del tutto, non pur lippo,
  8Fatto avea Silla, all’ultimo l’estinse.
Sal Valentinian, ch’a simil pena
  Ira conduce; e sal quei che ne more,
  11Ajace in molti, e po' in se stesso forte.
Ira è breve furor'; e chi nol frena,
  È furor lungo, che ’l suo possessore
  14Spesso a vergogna, e talor mena a morte.

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