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SONETTO CXCIX.

L
Asso, Amor mi trasporta ov’io non voglio,

  E ben m’accorgo che ’l dever si varca:
  Onde a chi nel mio cor siede monarca,
  4Son’importuno assai più ch’i’ non soglio:
Nè mai saggio nocchier guardò da scoglio
  Nave di merci preziose carca;
  Quant’io sempre la debile mia barca
  8Dalle percosse del suo duro orgoglio.
Ma lagrimosa pioggia, e fieri venti
  D’infiniti sospiri or l’hanno spinta:
  11Ch’è nel mio mar’orribil notte, e verno;
Ov’altrui noje, a sè doglie, e tormenti
  Porta, e non altro, già da l’onde vinta,
  14Disarmata di vele, e di governo.


SONETTO CC.

A
Mor, io fallo, e veggio il mio fallire:

  Ma fo sì, com’uom ch’arde, e ’l foco ha’n seno;
  Che ’l duol pur cresce, e la ragion vien meno,
  4Ed è già quasi vinta dal martire.
Solea frenare il mio caldo desire,
  Per non turbar’il bel viso sereno:
  Non posso più; di man m’hai tolto il freno;
  8E l’alma disperando ha preso ardire.
Però s’oltra suo stile ella s’avventa;
  Tu ’l fai; che sì l’accendi, e sì la sproni,
  11Ch’ogni aspra via per sua salute tenta;
E più ’l fanno i celesti, e rari doni
  C’ha in sè Madonna: or fa’lmen, ch’ella il senta;
  14E le mie colpe a se stessa perdoni.



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