< Pagina:Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

P A R T E . 183

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu{{padleft:266|3|0]]

SONETTO CCXVII.

L
A sera desiar, odiar l’aurora

  Soglion questi tranquilli, e lieti amanti:
  A me doppia la sera e doglia, e pianti:
  4La mattina è per me più felice ora:
Che spesso in un momento apron’allora
  L’un Sole, e l’altro quasi duo Levanti,
  Di beltade, e di lume sì sembianti,
  8Ch’anco ’l ciel della terra s’innamora;
Come già fece allor ch’i primi rami
  Verdeggiar che nel cor radice m’hanno,
  11Per cui sempre altrui più che me stess’ami.
Così di me due contrarie ore fanno;
  E chi m’acqueta, è ben ragion ch’i’ brami;
  14E tema, e odj chi m’adduce affanno.


SONETTO CCXVIII.

F
Ar potess’io vendetta di colei

  Che guardando, e parlando mi distrugge,
  E per più doglia poi s’asconde, e fugge,
  4Celando gli occhi a me sì dolci, e rei;
Così gli afflitti, e stanchi spirti mei
  A poco a poco consumando sugge;
  E ’n sul cor, quasi fero leon, rugge
  8La notte allor quand’io posar devrei.
L’alma; cui Morte del suo albergo caccia;
  Da me si parte; e di tal nodo sciolta
  11Vassene pur’a lei che la minaccia.
Meravigliomi ben, s’alcuna volta
  Mentre le parla, e piange, e poi l’abbraccia,
  14Non rompe ’l sonno suo, s’ella l’ascolta.

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.