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SONETTO CCLXVIII.

L
’alto et novo miracol ch’a’ dì nostri

  Apparve al mondo, et star seco non volse,
  Che sol ne mostrò ’l ciel poi sel ritolse,
  4Per adornarne i suoi stellanti chiostri,
Vuol ch’i’ depinga a chi nol vide, e ’l mostri,
  Amor, che ’n prima la mia lingua sciolse,
  Poi mille volte indarno a l’opra volse
  8Ingegno, tempo, penne, carte, e ’nchiostri.
Non son al sommo anchor giunte le rime:
  In me il conosco; et proval ben chiunque
  11È ’nfin a qui, che d’amor parli o scriva.
Chi sa pensare, il ver tacito estime,
  Ch’ogni stil vince, et poi sospire: - Adunque
  14Beati gli occhi che la vider viva. -


SONETTO CCLXIX.

Z
Ephiro torna, e ’l bel tempo rimena,

  E i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
  Et garrir Progne et pianger Philomena,
  4Et primavera candida et vermiglia.
Ridono i prati, e ’l ciel si rasserena;
  Giove s’allegra di mirar sua figlia;
  L’aria et l’acqua et la terra è d’amor piena;
  8Ogni animal d’amar si riconsiglia.
Ma per me, lasso, tornano i più gravi
  Sospiri, che del cor profondo tragge
  11Quella ch’al ciel se ne portò le chiavi;
Et cantar augelletti, et fiorir piagge,
  E ’n belle donne honeste atti soavi
  14Sono un deserto, et fere aspre et selvagge.


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