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DELLA MORTE CAP I. 297

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L’ora prima era, il dì sesto d’aprile,
  Che già mi strinse, et or, lasso, mi sciolse:
  135Come Fortuna va cangiando stile!
Nessun di servitù giammai si dolse,
  Né di morte, quant’io di libertate
  E de la vita ch’altri non mi tolse.
Debito al mondo e debito a l’etate,
  140Cacciar me innanzi ch’ero giunto in prima,
  Né a lui torre ancor sua dignitate.
Or qual fusse il dolor qui non si stima,
  Ch’a pena oso pensarne, non ch’io sia
  Ardito di parlarne in versi o ’n rima.
145- Virtù more, bellezza e leggiadria! -
  Le belle donne intorno al casto letto
  Triste diceano - Omai di noi che fia?
Chi vedrà mai in donna atto perfetto?
  Chi udirà il parlar di saver pieno
  150E ’l canto pien d’angelico diletto? -
Lo spirto, per partir di quel bel seno,
  Con tutte sue virtuti, in sé romito,
  Fatto avea in quella parte il ciel sereno.
Nessun degli avversari fu sì ardito
  155Ch’apparisse già mai con vista oscura
  Fin che Morte il suo assalto ebbe fornito.
Poi che deposto il pianto e la paura
  Pur al bel volto era ciascuna intenta,
  Per desperazïon fatta sicura,
160Non come fiamma che per forza è spenta,
  Ma che per sé medesma si consume,
  Se n’andò in pace l’anima contenta,
A guisa d’un soave e chiaro lume
  Cui nutrimento a poco a poco manca,
  165Tenendo al fine il suo caro costume.
Pallida no, ma più che neve bianca
  Che senza venti in un bel colle fiocchi,
  Parea posar come persona stanca.

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