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DELLA FAMA CAP II. | 309 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Le rime di M. Francesco Petrarca I.djvu{{padleft:392|3|0]]
Vidi Siface pari a simil scempio;
Brenno, sotto cui cadde gente molta,
E poi cadde ei sotto il delfico tempio.
In abito diversa, in popol folta
Fu quella schiera; e mentre gli occhi alti ergo,
Vidi una parte tutta in sé raccolta,
E quel che volse a Dio far grande albergo
Per abitar fra gli uomini, era il primo;
Ma chi fe’ l’opra gli venia da tergo:
A lui fu destinato, onde da imo
Produsse al sommo l’edificio santo,
Non tal dentro architetto, com’io stimo.
Poi quel ch’a Dio familïar fu tanto
In grazia, a parlar seco a faccia a faccia,
Che nessun altro se ne può dar vanto;
E quel che, come un animal s’allaccia,
Co la lingua possente legò ’l sole,
Per giugner de’ nemici suoi la traccia.
O fidanza gentil! chi Dio ben cole,
Quanto Dio ha creato aver suggetto,
E ’l ciel tener con semplici parole!
Poi vidi ’l padre nostro, a cui fu detto
Ch’uscisse di sua terra e gisse al loco
Ch’a l’umana salute era già eletto;
Seco il figlio e ’l nipote, a cui fu il gioco
Fatto de le due spose; e ’l saggio e casto
Joseph dal padre lontanarsi un poco.
Poi stendendo la vista quant’io basto,
Colui vidi oltra il qual occhio non varca,
La cui inobedienza ha il mondo guasto.
Di qua da lui, chi fece la grande arca,
E quei che cominciò poi la gran torre
Che fu sì di peccato e d’error carca;
Poi quel buon Juda a cui nessun può torre
Le sue leggi paterne, invitto e franco
Com’uom che per giustizia a morte corre.