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92 | CAPITOLO SECONDO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:104|3|0]]udendone i passi, nel salone, gli domandò se potesse spegnere l’acetilene, spense. Massimo, lì per lì, ne fu contento. Entrato nella sua camera, si disse che se avesse raccolto il fiorellino della memoria, lo avrebbe posato presso la fotografia del suo povero amico. E provò rincrescimento di non averlo raccolto.
Malgrado gli scongiuri di Teresina, Lelia si era empita la camera, per la notte, di rose, di fiori di madreselva e di acacia. Era una sua manìa. Si faceva portare in camera quanti fiori poteva, all’insaputa del signor Marcello, prediligendo gli odori più acuti. Quella sera ne aveva un mare. Infisse più fasci di acacie fra la spalliera del letto e la parete, un fascio di rose fra la parete e la immagine sacra. La sua delizia, stando a letto, era di sentirsi cadere sui capelli, sul viso, petali di fiori. Teresina la supplicò di tenere tutti aperti i tre fori della finestra invece di uno, come soleva. Acconsentì. Appena uscita Teresina, spense la luce, si coricò sul fianco ascoltando le fragranze come parole mute, carezzevoli, di vite amorose, guardando per la finestra la nera lunata corona del bosco, le dolomiti aguzze nel cielo notturno; non pensando, non volendo pensare.