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TRAME 109

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:121|3|0]]goscia perchè teme che la figliuola possa prendere interesse a questo giovine, e che questo giovine, essendo lei una figlia vistosa, con grandi aspettazioni...

«Mancarìa altro...» esclamò don Tita «ch’el s’inzeregasse qua!»

La siora Bettina sibilò.

«Ora» riprese don Emanuele «il sacerdote che mi scrive ha potuto sapere, per una grazia, dico io, della Divina Provvidenza...»

Pausa.

«Fora fora!» esclamò don Tita. «Corajo! Ben, andarò avanti mi. Pare che ghe sia un potàcio fra el toso e una siora de Milan. Maridada, capìo»

Sibili e sibili della siora Bettina.

«E se discorea, capìo» riprese don Tita «l’altra sera, qua con don Emanuele, de cossa che se podarìa far, perchè la tosa lo savesse. Pensa e pensa, no se gà trovà gnente. Ossia se ga trovà, ieri, che non ghe saressi che vu.»

«Géstene, don Tita!»

L’accento di questa giaculatoria profana faceva pietà.

Silenzio.

«No ghin parlemo altro» disse l’arciprete. «La tosa se rovinarà e mi no ghin avarò colpa.»

La Fantuzzo, ch’era seduta presso la scrivania dell’arciprete, vi stese la mano a un libro e, trattolo a sè, parve considerarlo. Era rossa come un gambero.

«Volìo véder» esclamò don Tita «che la sa qualcossa, sta malindreta!»

La Fantuzzo protestò che non sapeva niente, ma l’arciprete non faticò molto a cavarle che la cuoca di casa Trento, amica della sua fantesca, aveva parlato a quest’ultima di novità che c’erano in casa dopo la venuta del signore di Milano, di malumori del padrone, di malumori della cameriera Teresina, di gran pianti della

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