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CAPITOLO PRIMO.
Preludio mistico.
I.
«Signorina» disse Giovanni, il domestico, entrando frettoloso, ansante, nella sala da pranzo. Aveva cercato inutilmente la signorina Lelia nel giardino, nel salone, nella sua camera. Erano le nove di sera, il padrone e la signorina avevano finito di pranzare prima delle otto, il padrone si era chiuso quasi subito nel suo studio, la signorina era uscita in giardino, a Giovanni non poteva venire in mente che fosse ritornata nella sala da pranzo. Ella era lì, alla finestra.
Pareva guardare l’oscuro bosco di castagni, a levante della villa, oltre il borro dove un’acquicella querula scende dal piccolo lago nascosto, più su, dietro un giro di erbosi dorsi, cinto alla grande, severa montagna di Priaforà. Tendeva in fatto l’orecchio a un remoto fragore che cresceva e mancava collo spirare del vento: al fragore di un treno ancora lontano, in corsa verso quella conca della Val d’Astico che la villa signoreggia. Intanto si sgualciva lentamente una lettera nella mano