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126 | CAPITOLO QUARTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:138|3|0]]sito delle prime pratiche. Si recò dall’arciprete con una Commissione. L’arciprete diede un rabbuffo alla Commissione, trattò quella brava gente da zucche, da ignoranti, da prepotenti. Se ne ritornarono scornati e il fermento crebbe.
Don Aurelio, dopo avere cercato invano di dissuadere privatamente il suo gregge da qualunque pratica, ripetè la stessa esortazione, con parole insieme affettuose e severe, dall’altare. Andarono dall’arciprete, a nome del popolo di Lago, anche alcuni villeggianti, persone ragguardevoli, perchè s’interponesse presso la Curia. A loro l’eccellente don Tita diede parole buone, disse di non essere entrato per nulla nel provvedimento increscioso, lodò don Aurelio, promise di fare, di dire, di scrivere. Il gregge ascoltò don Aurelio rispettosamente, senza la menoma idea di obbedirgli, ascoltò le informazioni della seconda Commissione senza la menoma fede nelle promesse dell’arciprete. Il Capo tenne un’altra riunione, i riuniti decisero di presentarsi tutti insieme al Vescovo per ottenere, intanto, almeno una proroga. Appreso ciò, don Aurelio li pregò a voler prima udire una sua parola. Era un venerdì e mancavano ancora cinque giorni al termine dentro il quale egli avrebbe dovuto lasciare la curazia. I contadini intendevano recarsi a Vicenza, dal Vescovo, la domenica mattina. Accettarono di andare da don Aurelio l’indomani, sabato, a mezzogiorno. Verso la sera del venerdì don Aurelio discese al villino delle Rose. Poi, nel ritorno, entrò alla Montanina. Mancavano pochi minuti alle otto. Udito da Giovanni che i signori erano ancora a pranzo, non volle che fossero avvertiti, si trattenne nel salone a guardare la bibliotechina di fianco al camino. Non v’erano che libri di botanica e di giardinaggio, libri del signor Marcello. Don Aurelio sapeva ben poco delle letture di Lelia e avrebbe voluto saperne di più. A una