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148 | CAPITOLO QUARTO |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Leila (Fogazzaro).djvu{{padleft:160|3|0]]dal viale a un folto di acacie dove corre il rivoletto che poi salta e suona. Lo trovò, si fermò fra le acacie, sul margine del rivoletto che udiva senza vederlo. All’invito della voce blanda cominciò, come per istinto, a spogliarsi. Accortasi di quel che faceva, sostò. Saggiò l’acqua colla mano. Era fredda. Meglio; le farebbe bene, così fredda. E continuò a spogliarsi, senza nemmanco vedere dove posasse le sue robe, fino all’ultimo vestimento, che non lasciò. Pose il piede nella corrente, rabbrividì. Ne tentò il fondo: ghiaia e due palmi d’acqua. Vi pose anche l’altro piede e, stretta il cuore dal gelo, chiusi gli occhi, semiaperte le labbra, calò piano piano, con piccoli gemiti, si adagiò, si distese. L’acqua le corse via intorno alla persona, tutta carezze gelide, le fluì tutta piccole voci soavi intorno al collo e sul petto ansante. Le si faceva meno e meno gelida. Altre voci soavi sussurrarono per l’aria. Lelia aperse gli occhi, si drizzò a sedere stupefatta. Vide se stessa bianca, vide un chiaror diffuso su l’acqua tremula, i margini, le sue vesti, nella selva che moveva le vette argentee, mormorando, al vento. Era l’aurora della luna, era un misterioso destarsi delle cose nel cuore della notte. Dalle acacie piovevano fiori sul ruscello, sui margini. La fanciulla si compresse il petto colle braccia incrociate, gemendo, nel crescente chiarore lunare, nella fragranza del bosco, nella pioggia fiorita, di uno spasimo dolce, senza nome, che le gonfiò il petto di lagrime. Lagrime e lagrime le caddero silenziose nell’acqua tremula, lagrime ardenti dell’anima rapita nel divino incanto. Risalì sul margine del ruscello, si vestì alla meglio e, battendole a furia il cuore, discese in fuga la via percorsa nel salire, non diede uno sguardo alla luna splendente, fra nuvola e nuvola, sul ciglio del Monte Paù, uscì del cancello di legno col senso di un naufrago che si salva. Teresina, che l’aspettava nel portichetto dell’ingresso al giardino rabbrividendo di mille paure, l’accolse col medesimo senso di conforto.